“Appare quindi del tutto naturale che … uno studio che voglia essere competitivo, per garantire un flusso costante di clienti e un livello di redditività adeguato, deve mettere in campo una strategia di rottura e di cambiamento” M Petrini Doctor OS Gennaio 2020 (XXXI 01): 54-57
La premessa quindi è: “uno studio che voglia essere competitivo”, e il contesto è una realtà in rapido mutamento che vede la penetrazione di grandi strutture con capitali e know-how spesso internazionali.
Nella stampa di settore abbondano gli articoli che ci insegnano a gestire il nostro studio e molti partono dal presupposto riportato qui sopra.
Se accettiamo la premessa, determiniamo anche il contesto e l’orizzonte nel quale si svolgerà il nostro ragionamento.
Ma la premessa non è neutra. Gli odontoiatri non sono studi e il desiderio degli odontoiatri e degli studi non coincide necessariamente.
Uno studio è una attività commerciale la cui unica logica può essere puntare costantemente ad aumentare il proprio fatturato e la propria penetrazione nel mercato.
Un odontoiatra è una persona che al termine del corso di studi deve inserirsi nel mercato del lavoro, imparare a lavorare, lavorare, guadagnare, risparmiare per la pensione, andare in pensione, etc. Un odontoiatra è un elemento di uno studio dentistico e il suo primo pericolo è che gli interessi dello studio prevalgano sui propri.
Questa tensione tra gli interessi dell’odontoiatra e quelli dello studio, rimane anche su di un orizzonte più ampio: gli odontoiatri come classe devono stare attenti affinché gli interessi degli studi (intesi come insieme di studi mono-professionali, studi associati, studi low cost, studi di capitale, etc) non prevalgano sui propri.
Ma l’odontoiatra come persona in questa dinamica che tipo di esperienza vivrà? Il successo economico dello studio corrisponde al suo successo personale?
Nelle diverse fasi della vita di un odontoiatra ci sono dinamiche diverse che porteranno ad esiti diversi a seconda di come vengono affrontate.
Nei suoi primi anni per un odontoiatra è difficile aprire uno studio da solo, per l’investimento economico ma anche per i presupposti culturali: per gestire uno studio ha bisogno di una formazione ampia in tutti i campi dell’odontoiatria, dalla conservativa alla protesi alla parodontologia all’ortodonzia, ma anche di una adeguata formazione extraclinica per quanto riguarda la contabilità, la medicina legale, le normative, etc.
Perciò nei primi anni può fare diverse scelte che avranno conseguenze diverse.
Può lanciarsi subito nella mischia. I primi anni saranno duri, ma presumibilmente superati gli scogli iniziali si guadagnerà il proprio spazio che nessuno sarà in grado di aggredire.
Può invece associarsi con alti colleghi che si occupano si settori diversi: dalla conservativa alla protesi all’implantologia. L’inizio è più morbido ma ci sono comunque difficoltà di gestione extraclinica alla quale la nostra università non prepara. Questo approccio può portare a grandi soddisfazioni nell’immediato ma vive una vita fragile: in qualunque momento e spesso nel momento in cui meno lo si aspetta, l’associazione può andare in crisi. Ecco allora che chi ha delegato del tutto alcuni aspetti dell’odontoiatria si troverà non più giovanissimo a dover ripartire da zero o quasi. Chi poi non si è mai occupato delle problematiche extracliniche, forse si troverà davvero a mal partito.
Una terza possibilità classica è quella di iniziare collaborando in qualche studio già avviato. Il collaboratore ha un inizio molto soft ma la sua vita professionale ha due possibili evoluzioni: o fa il collaboratore a vita, trovando soddisfazione esclusivamente nel proprio lavoro clinico e spesso senza grande potere contrattuale nei confronti del titolare, oppure può prendere questo periodo per allargare le proprie conoscenze e prepararsi ad aprire in autonomia.
La quarta possibilità che sta emergendo con forza recentemente è quella di lavorare in una clinica dentale. Questa quarta possibilità ha come prevedibile evoluzione quasi soltanto la prima che si diceva poco sopra: collaboratore a vita usato e sfruttato. La possibilità di ampliare la propria cultura clinica ed extraclinica è, oggettivamente, molto ridotta se non addirittura compromessa perché spesso le logiche delle cliniche dentali confliggono con le logiche professionali.
Quindi dal primo scenario prospettato all’ultimo, diminuisce l’entità dell’impegno iniziale ma anche le possibilità di sviluppo futuro.
Comunque sia in quanto odontoiatri come gruppo dobbiamo interrogarci su come possiamo o dobbiamo o dovremmo intervenire nella tensione tra odontoiatri e studi.
Di fatto gli strumenti per aiutare gli odontoiatri in quanto odontoiatri ad affrontare una vita professionale soddisfacente ci sono già tutti, quello che manca forse è la consapevolezza della loro utilità e della loro funzione.
Il vero punto di forza del professionista è la cultura e questo è ciò di cui ha più bisogno.
Le società scientifiche vanno a colmare il bisogno di formazione clinica. Bisogna sapere che non sono un di più ma il pane stesso della nostra vita professionale. Un odontoiatra che non si aggiorna è condannato a fare da manodopera usata e sfruttata.
Gli Ordini e i sindacati colmano invece il bisogno di una cultura extraclinica, di una visuale ampia del contesto lavorativo, normativo, politico. Su questo la percezione della categoria è ancora più carente, in pochi davvero capiscono l’utilità di ampliare il proprio bagaglio di nozioni partecipando attivamente a questi organismi.
Società scientifiche, Ordini e sindacati fanno tutti parte di qualcosa che potremmo chiamare “rete” e come la rete (internet) ha cambiato la società contemporanea, così cambierà la nostra professione.
Solo l’inserimento in una rete viva, presente, vissuta, efficace può trasformare un odontoiatra da manovale a professionista.
Passare dall’individuo in sé e per sè al professionista in rete è la vera strategia di rottura e cambiamento.