Uno dei principi della Slow Medicine è che “fare di più non significa fare meglio”. Non è l’unico, il vero fondamento della slow medicine è vedere ogni intervento nella prospettiva del paziente e quindi adattare la terapia ai suoi ritmi che non sono quelli della società dei consumi e del profitto. Alla fine è evidente che il rispetto delle caratteristiche dell’utente, in ogni settore, comporta un adattamento migliore del prodotto/servizio offerto alle attese dello stesso, un costo minore, una maggiore efficacia ed una maggiore efficienza.
Il problema è che non è facile dire quali siano esattamente le caratteristiche di questo servizio/filosofia, ogni volta che si tenta di dare qualche elemento, subito qualcuno ne approfitta e usa quella etichetta/procedura per perseguire comunque il massimo profitto per sé.
La SidCO (Società Italiana di Chirurgia Orale) e la SIPMO (Società Italiana di Patologia e Medicina Orale) hanno organizzato un meeting a Messina un paio di mesi fa alla ricerca di “linee guida” conformi a questa ottica.
Già l’idea di linea guida cozza con la Slow Medicine. La Slow Medicine parte dall’individualità irripetibile del singolo paziente, che difficilmente rientra in un insieme con caratteristiche omogenee. Ma qualcosa si deve pur dire, e dal convegno di Messina è uscito il decalogo che riportiamo.
È interessante che si tratti di dieci “NON”: dieci inviti a NON fare qualcosa.
Abbiamo sicuramente un decalogo da tenere presente come punto di riferimento per la riflessione. Ma la cosa più importante è il richiamo alla valutazione del caso individuale. Ad esempio, il punto 1: “NON prescrivere di routine”. Abbiamo a che fare con un richiamo alla responsabilità medica. Il comportamento giusto non è PRESCRIVERE, ma neppure NON PRESCRIVERE. Il comportamento giusto è individualizzare a seconda della situazione.
Ora, sarebbe interessante che coloro che gradiscono l’approccio Slow a questo punto si confrontassero con il DDL Gelli (legge 24/2017), il quale inquadra la responsabilità medica nell’adesione a linee guida condivise dalle società scientifiche.
Alla fine abbiamo a che fare con un nodo culturale-politico-filosofico: qual è il ruolo della libertà dell’operatore nei servizi sanitari? È pensabile un algoritmo che tolga al medico la responsabilità di decidere?
1) NON prescrivere di routine antibiotici in caso di estrazioni dentarie
Si raccomanda di adottare misure antisettiche locali peri-operatorie. E’ richiesta adeguata prescrizione antibiotica nei casi di interventi di chirurgia orale a maggiore invasività.
Negli interventi di chirurgia estrattiva e orale non invasiva e soprattutto in assenza di condizioni di rischio specifico locali e/o sistemiche, non devono essere somministrati antibiotici in maniera indiscriminata.
2) NON rinviare le cure odontoiatriche durante il periodo di gestazione
Le misure di chirurgia elettiva devono esser procrastinate al termine della gravidanza. In accordo con le eventuali indicazioni del medico ginecologo, è appropriato adottare protocolli specifici in base al periodo di gestazione e ad eventuali condizioni di rischio ostetrico. Le misure di prevenzione delle patologie dento-parodontali sono fortemente indicate.
La gravidanza non rappresenta una controindicazione assoluta ai trattamenti chirurgici che abbiano criteri d’urgenza.
3) NON estrarre di routine i terzi molari inclusi
L’avulsione rappresenta intervento appropriato in presenza di: patologie flogistico-infettive, cariose e parodontali proprie del terzo molare e/o dell’elemento adiacente; patologie algico-disfunzionali correlabili all’inclusione dentaria; necessità terapeutiche ortodontiche e protesiche.
L’avulsione dei terzi molari inclusi a scopo profilattico, ovvero in assenza di segni e sintomi, non è supportata da concrete evidenze scientifiche e può esporre inutilmente il paziente ai rischi legati alla procedura chirurgica.
4) NON sospendere di routine gli antiaggreganti piastrinici nelle procedure di chirurgia orale
Concordemente alle raccomandazioni della Società Europea di Cardiologia, è controindicata la sospensione delle terapia con antiaggreganti piastrinici, specialmente nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare, ed è quindi considerato più appropriato gestire il sanguinamento con farmaci antiemorragici ad uso locale.
Il rischio emorragico intra/post-operatorio in pazienti in trattamento con antiaggreganti orali è molto inferiore alle potenziali complicanze cardiache e vascolari che derivano dalla sospensione del trattamento.
5) NON prescrivere esami radiologici in ambito odontoiatrico senza un valido quesito diagnostico
La tipologia d’esame radiologico (rx endorale, radiografia delle arcate dentarie, TC Cone Beam, TC) deve sempre essere giustificata dal quesito diagnostico, evitando l’esposizione del paziente a dosi radianti non necessarie.
La prescrizione di indagini radiodiagnostiche in chirurgia orale è sempre preceduta dalla raccolta anamnestica, dall’esame obiettivo e dalla eventuale valutazione di pregressi esami radiologici. Gli esami radiologici in odontostomatologia devono rappresentare uno strumento appropriato al completamento della diagnosi e della programmazione terapeutica.
6) In presenza di ulcera o altra lesione della mucosa orale, NON prescrivere sciacqui o altri presidi medici che alleviano i disturbi e ritardano l’esecuzione di procedure diagnostiche (es. biopsia)
ELIMINARE gli eventuali fattori irritanti locali e RIVALUTARE il paziente entro 15 giorni.
Un’ulcera è una discontinuità della mucosa orale, spesso dolente, in particolare in presenza di cibi caldi, acidi, piccanti o salati. Frequentemente è provocata da traumi contro denti acuminati o fratturati o da morsicatura accidentale; ma può anche essere associata a malattie infiammatorie come le afte ricorrenti, tumori benigni o maligni. Se non guarisce entro due settimane, è necessario indagarne accuratamente le cause.
7) Per la corretta prevenzione del cancro orale, NON sottovalutare la possibilità che una ALTERAZIONE di forma o colore o consistenza dei tessuti in QUALUNQUE sede del cavo orale possa essere una malattia premaligna o maligna (es. carcinoma, linfoma, tumore salivare, sarcoma, melanoma, metastasi)
INFORMARE il paziente di ogni sesso e età sui principali fattori di rischio del cancro orale.
La bocca può essere interessata da diverse malattie di natura tumorale maligna che devono essere correttamente riconosciute. Tra queste il cancro orale è la più frequente ed ha una elevata malignità, tuttavia se diagnosticato e curato nelle fasi più iniziali, ha ottime probabilità di guarire senza gravi conseguenze. Chiunque può ammalarsi di cancro orale, non solamente le persone esposte ai riconosciuti fattori di rischio, quali il tabacco, l’assunzione di bevande alcoliche e superalcoliche, la cattiva igiene orale, i traumi cronici alle mucose orali e, per alcuni siti del cavo orale, l’infezione da Virus del Papilloma Umano (HPV).
8) NON prescrivere i farmaci antifungini, IN ASSENZA di una DIAGNOSI clinica certa e/o microbiologica di infezioni orale da funghi.
I farmaci antifungini locali o sistemici SONO INDICATI esclusivamente per la cura, con controllo clinico, di infezioni orali da funghi (es. candidosi)
La candidosi orale è causata da microbi patogeni, di solito funghi microscopici del genere Candida. Può manifestarsi in varie forme e modi, con placche o membrane bianche asportabili (cd. mughetto), più frequentemente con aree arrossate della mucosa, altre volte con spaccature agli angoli della bocca o placche bianche persistenti. Si manifesta sovente nei pazienti immunodepressi, o diabetici, o in cura per tumori maligni, o con la bocca molto asciutta. Solitamente può essere curata efficacemente con farmaci antifungini locali.
9) NON prescrivere cortisonici per le comuni lesioni orali in assenza di una diagnosi certa.
I farmaci CORTISONICI locali o sistemici SONO INDICATI per la cura, con controllo specialistico, di malattie immuno-mediate.
La mucosa della bocca può essere colpita da malattie infiammatorie immuno-mediate che provocano danni e disturbi talvolta molto intensi e persistenti, la cui cura prevede l’impiego di farmaci cortisonici locali o sistemici. Tali farmaci devono essere prescritti solo a fronte di una diagnosi accurata e precisa, basata solitamente su dati bioptici e sierologici. Chi prescrive tali farmaci deve controllarne l’efficacia sulla malattia e gli eventuali effetti collaterali o interazioni farmacologiche, collaborando -ove necessario- con il medico di medicina generale o altri specialisti.
10) L’infiammazione gengivale NON è esclusivamente provocata dalla placca batterica o da irritanti locali: potrebbe essere manifestazione di malattia immuno-mediata (es. lichen planus, pemfigoide, pemfigo)
La malattia gengivale non correlata a placca necessita di procedure e competenze specialistiche per la CORRETTA DIAGNOSI (es. biopsia con immunofluorescenza) e per la TERAPIA adeguata.
La causa più frequente di infiammazione e sanguinamento delle gengive è la presenza di placca batterica, responsabile di gengivite e di parodontite. Tali patologie mostrano un netto miglioramento a seguito di manovre per la rimozione professionale di placca e tartaro e con l’adozione di una adeguata igiene orale domiciliare. Se nonostante tali accorgimenti persistono arrossamento diffuso, sanguinamento e dolore, bisogna valutare la possibilità che l’infiammazione gengivale sia dovuta a una malattia immuno-mediata, come il lichen planus orale, il pemfigo o il pemfigoide