Ad una struttura complessa in Lazio con venti posti letto per Alzheimer e un servizio ambulatoriale anche di odontoiatria viene rifiutata l’autorizzazione regionale in quanto la regione riteneva superata l’offerta di servizi e cure e quindi soddisfatto il fabbisogno dell’utenza.
La struttura faceva ricorso al TAR che le dava ragione e vinceva ancora in Consiglio di Stato (Terza Sezione n.07322/2012) dove la regione aveva fatto ricorso. Il ragionamento del Consiglio di Stato consisteva nel ritenere che la valutazione del fabbisogno di cure andava intesa solo in riferimento all’idoneità della nuova struttura a soddisfare detto fabbisogno, non alla carenza di offerta sociosanitaria. Per quanto riguarda invece l’offerta ambulatoriale il Consiglio rileva che la struttura intende operare in regime privatistico e la dichiarata sufficienza delle strutture provvisoriamente accreditate è fuori luogo in quanto appunto la struttura non intende chiedere l’accreditamento.
La pronuncia del Consiglio di Stato è estremamente lineare e sarebbe stato difficile immaginare conclusioni diverse. Ma allora dove sta il problema? Il problema nasce negli interessi particolari di coloro che, spaventati dalla concorrenza e dalla calata nel nostro paese di eserciti di professionisti, hanno cercato dei modi per chiudere il mercato. Va da sè che hanno pensato di chiudere le porte dopo essere entrati loro!
Questo è il ragionamento fatto anche da almeno una parte dei dirigenti ANDI: se infatti l’apertura delle frontiere e l’equiparazione dei titoli di studio, apre il nostro paese a migliaia o centinaia di migliaia di laureati in odontoiatria, se l’esame di Stato non è più un ostacolo e gli Ordini rischiano la soppressione, ebbene in questo contesto queste volpi pensarono che l’autorizzazione avrebbe potuto rappresentare un freno alla concorrenza e un favore ai propri iscritti.
Amaro calcolo senza l’oste: la giurisprudenza è unanime nel rigettare qualunque manovra protezionistica e corporativistica: semmai si pone il problema contrario in quanto per i giudici europei i medici e gli odontoiatri non sono professionisti ma “imprenditori”.
Questa tendenza è stata confermata anche di recente sempre dal Consiglio di Stato con la decisione n. 4574 del 16 settembre 2013, che ha confermato l’annullamento della delibera IX/2633 con cui la Regione Lombardia rifiutava nuovi accreditamenti ritenendo che le strutture già accreditate soddisfacessero le esigenze sanitarie della popolazione. Perciò non solo la regione non può rifiutare l’autorizzazione, ma neppure l’accreditamento né (probabilmente) la convenzione alle nuove strutture, confermando perciò che la legislazione sull’autorizzazione sanitaria non può essere utilizzata per ridurre l’offerta di servizi.
Ma allora, se l’autorizzazione ai libero professionisti non serve:
- per ridurre la concorrenza
- per tutelare la salute del cittadino
- per accedere ai finanziamenti pubblici
a cosa serve se non a sprecare risorse e ad aumentare la burocrazia?
Ai dirigenti di quel sindacato odontoiatrico non si devono anzitutto contestare le buone intenzioni (chi siamo noi per giudicare?) ma l’intelligenza di scegliere lo strumento adatto per lo scopo che si vuole conseguire. La difesa della libera professione non si fa con la burocrazia: per quanti cavilli si riescano ad inventare, chi ha i capitali ne saprà sempre trarre maggior vantaggio di chi ha “solo” la cultura.